“Ci chiamano diversi”

Ho finalmente avuto modo di vedere le versione definitiva di “Ci chiamano diversi”, film documentario sul mondo LGBT italiano realizzato da Enzo Monaco al quale ho preso parte anch’io, e non posso che suggerire la visione di questo lavoro di grande impatto ed interesse, ora disponibile anche in versione integrale in streaming, con l’augurio che raggiunga una vasta platea di persone.

Per tutte le informazioni relative al film, visitate il sito:

http://www.cichiamanodiversi.it

Promo:

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Interviste a me ed ad Antonia Monopoli:

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La versione integrale del film:

Il canone eteroimitativo, l’orgoglio e la riconoscibilità LGBT*

Articolo pubblicato sul primo numero della rivista di cultura LGBT* ” Il Simposio” 

Non diresti mai che è gay!”, “Non ha certo l’aspetto della lesbica“, “Non avrei mai detto che è trans!”.

Queste affermazioni sono piuttosto ricorrenti quando si parla di gay, lesbiche e trans. Normalmente chi le pronuncia intende esprimersi positivamente sulla persona a cui si riferisce, volendo fare un apprezzamento, ed affermando, il più delle volte in modo inconsapevole, che:

Lui/lei è gay/lesbica/trans, ma questo non è problema, perché non si vede”.

Il discrimine fra l’essere persone LGBT* “in” o “out” starebbe dunque oggi nella visibilità, nella riconoscibilità per la strada, e le nuove generazioni LGBT*, i giovanissimi, introiettano questo canone estetico e comportamentale, che potremmo definire “eteroimitativo” o di “eterosomiglianza”.  Sarebbe dunque “in” il gay che si rende indistinguibile da un uomo eterosessuale grazie ad un atteggiamento virile,  o la lesbica abbastanza femminile da poter sembrare una donna eterosessuale. Questo dogma regola peraltro anche il grado di accettabilità sociale delle persone transgender, imponendo il “passing“:  le donne trans sono infatti “in” se ‘passano’ per donne genetiche (possibilmente belle, eterosessuali, sorridenti, e con la taglia 42),  e gli uomini trans se ‘passano’ per maschi genetici. Il percorso di transizione sarebbe dunque riuscito quando  cancella quelle caratteristiche che rendono la persona trans* riconoscibile (“Però, è uscit* bene!”). Il modello estetico e comportamentale che va oggi per la maggiore fra le giovani persone T* è quindi quello volto al raggiungimernto della modalità “stealth”, termine mutuato dal linguaggio militare che identifica gli aerei invisibili ai radar, e ora anche le persona transgender che, non dichiarandosi, si mimetizzano nella società.

Il canone eteroimitativo condiziona anche la subcultura LGBT*, rendendo “out” le lesbiche maschili e/o butch, i gay femminili, le trans e i trans riconoscibili in quanti tali. Costoro, i ‘trasgressori di genere’, oltre ad essere i bersagli più facili nella vita di tutti i giorni per la loro immediata riconoscibilità, subendo in misura maggiore il bullismo a scuola, il mobbing nel lavoro, una probabilità maggiore di subire aggressioni e molestie verbali per la strada, sono spesso marginalizzati anche all’interno della comunità LGBT*, colpevoli di non aver adeguato la loro apparenza ai dettami di una legge non scritta che ci vorrebbe tutti uguali agli eterosessuali.

I trasgressori di genere finiscono così con l’introiettare un senso di disvalore generato sì dalla società eterosessista e genderista, ma anche tristemente riconfermato ed alimentato da una subcultura LGBT* che riproduce valori omotransfobici e figli del binarismo di genere.

Il canone di eterosomiglianza si fa peraltro sempre più incisivo man mano che la società civile apre alle nostre istanze, accettando un po’ di più quelli che fra noi sembrano ‘meno diversi’, e rafforzando il discrimine e la distanza fra LGBT* perbene da un lato e ‘cattive ragazze’ dall’altro.

Ma il nostro benessere e  la nostra qualità di vita non dovrebbero passare anche da un sano orgoglio per quelle peculiarità che ci rendono “divers*”, bell’aggettivo ormai soppresso dal lessico politically correct, rispetto al paradigma di genere e sessuale dominante? Quando uguaglianza nei diritti e pari opportunità sociali sono diventati sinonimo  di appiattimento, o peggio ancora, adeguamento delle nostre caratteristiche? Non dovremmo trasmettere la fierezza per le nostre differenze, anche e soprattutto quelle visibili, ai giovanissimi LGBT*, dando loro risorse e strumenti utili a riscattarsi da una cultura che è peraltro sempre più massificante e nemica delle differenze? Non dovremmo ricordare loro che ad essere maggiormente stigmatizzati nella nostra comunità sono proprio quelli che furono la punta di diamante di quel gruppo che, ormai più di quarant’anni fa, diede il via ai moti di Stonewall, e che la grande Sylvia Rivera non perdeva occasione per ricordare che “la scintilla della rivoluzione l’abbiamo cominciata noi checche, travestiti e puttane”?

L’America LGBT “homeless”

Ho letto l’inchiesta che il Venerdì di Repubblica ha dedicato ai giovanissimi LGBT “homeless”, ovvero senza casa, di San Francisco.
Il dato che colpisce e rattrista è quello ricavato da una ricerca svolta su tutto il territorio degli Stati Uniti, che stima che la percentuale delle persone LGBT, sul totale dei giovani senza casa, raggiunge anche il 45%.
Ho trovato particolarmente sconvolgente l’ipotesi di Tim Sweeney, attivista gay che lavora presso il Center for American Progress, per spiegare il fenomeno: a suo avviso, il fatto di vivere in Stati a legislazione avanzata che riconoscono il matrimonio fra persone dello stesso sesso, spingerebbe i giovanissimi ad anticipare l’età del coming out in famiglia. Se prima i ragazzi si dichiaravano quando andavano al college e avevano l’età per difendersi da famiglie ostili armate di Bibbia, ora escono allo scoperto nella prima adolescenza, finendo col vivere in strada se le famiglie non accettano.
Non sarà questa una conseguenza determinata anche dalle scelte dei movimenti per i diritti LGBT, che fanno del matrimonio l’obiettivo primario di tutte le rivendicazioni, spesso dimenticando che altrettanto importante sarebbe dare visibilità all’omotransfobia come fenomeno nonché maggior tempo e rilievo alla ricerca di strumenti culturali, sociali e politici utili a debellarla?

“Le cose cambiano” (e questo a qualcuno non piace)

Ho iniziato a leggere “Le cose cambiano” (http://www.lecosecambiano.org/) stamattina, andando al lavoro, e il libro mi ha portato subito ad una riflessione.
Vi riporto un passaggio della testimonianza di Dan Savage, scrittore e attivista gay americano, che mi ha colpito particolarmente:

La società di solito offriva questo patto alle persone gay, lesbiche, bisessuali e transgender: possiamo torturarti fino a quando compirai diciotto anni. Fino a quel momento verrai tormentato e insultato a scuola, a casa e in chiesa. Dopo potrai fare quello che vuoi. Puoi dire a tutti che sei gay, puoi trasferirti altrove e, forse, se i danni che ti abbiamo fatto non sono troppo gravi, puoi riprenderti e crearti una vita tua. C’è una sola cosa che non puoi fare dopo: parlare ai ragazzi che stiamo ancora tormentando, quei ragazzi aggrediti emotivamente, fisicamente e spiritualmente nelle stesse città, scuole e comunità religiose da cui sei scappato. E, se ci provi, metteremo in dubbio le tue intenzioni, ti accuseremo di essere pedofilo, un pervertito, diremo che stai cercando di convincere i ragazzi ad adottare «lo stile di vita dei gay».”

Personalmente ho vissuto, come sarà successo a molt* di voi, il bullismo sulla mia pelle alle scuole superiori, in quanto “ragazzino” diverso da tutti gli altri, nella totale indifferenza ed omertà da parte di insegnanti e adulti.
Oggi so, sappiamo bene, che quella violenza esercitata col beneplacito delle istituzioni, noi che siamo sopravvissuti, ce le porteremo dentro per sempre.

Credo che la battaglia contro quelle forze che hanno bloccato i libretti dell’UNAR nelle scuole (per non parlare delle inquietanti “Sentinelle in piedi” che scendono in campo contro, si badi, al riconoscimento del nostro diritto a non subire odio e violenza) sia vitale per noi come movimento e comunità, e che debba vederci il più possibile uniti, perché di fatto questi bigotti vogliono impedirci di tendere una mano a quei ragazzi LGBT*, oggi adolescenti, che altro non sono che i nostri ragazzi, la nostra gente, l’arcobaleno di domani.

 

progetto-unar

 

Ricordando Mario Mieli (Milano, 21 maggio 1952 – Milano, 12 marzo 1983)

A 31 anni dalla sua tragica scomparsa, ricordiamo Mario Mieli, attivista e figura storica, considerato un fondatore del movimento LGBT* italiano.

L’anno scorso il Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli ha pubblicato un libro, “Mario Mieli: 30 anni dopo”,  di Franco Buffoni.

Avendo avuto la fortuna di partecipare alla presentazione del libro presso l’associazione di cui faccio parte, il Circolo Harvey Milk di Milano, e l’onore di conoscere l’autore, non posso che consigliare caldamente la lettura di questa preziosa opera.

copertinamieli

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