Presentazione di “Storie di ragazze XY” a Milano

Milano, 20 febbraio, ore 18:30, presso il teatro Filodrammatici.
Interverranno:
  • Matteo B. Bianchi, scrittore, editor e autore tv.
  • Massimo D’Aquino, scrittore e attivista per i diritti LGBTI, autore del libro “Camminavo rasente i muri (autobiografia tascabile di un transessuale).”
  • Paola Morello, attrice e professionista milanese, donna e madre.

Modera l’incontro:

  • Marco Albertini per la rivista “Pride”.

Il libro è disponbile in tutte le librerie (Rizzoli, Lirus, Feltrinelli, Ibs, Amazon e in tutte le librerie online).

«I ragazzi della mia età spesso venivano a chiedermi a quale metà del cielo appartenessi. C’erano i maschi, c’erano le femmine, e c’ero io. Poteva essere questa la risposta? Non nel mondo in cui vivevo

«Sei maschio o femmina?» È il 1986 quando Ilenia si sente fare per la prima volta questa domanda. Al momento non sa cosa rispondere, non vuole essere diversa, è e basta. La ricerca di una vera risposta la accompagnerà lungo tutto il cammino attraverso l’adolescenza e verso l’età adulta. Il suo è il viaggio travagliato di una ragazza che sembra avere per la società e per i benpensanti un’unica meta, la prostituzione. Ma Ilenia è una persona che non si arrende e scompiglia fin da subito le carte del destino: nonostante bullismo, discriminazione, violenze fisiche e verbali, si laurea, trova un lavoro e un amore inaspettato, quello per una donna.
Le paure, le battaglie, le ferite, i traguardi di una giovane trans, che come tante altre ragazze XY, lotta per una vita serena e autentica, verso la libertà di genere e il pieno diritto di cittadinanza per le persone transgender nella società civile.

Pagina evento

Pagina Facebook dedicata al libro

 

Svegliati Italia!

Sabato 23 gennaio 2016 si è svolta una manifestazione nazionale di importanza storica per il movimento LGBTI italiano.

Le associazioni LGBT hanno mobilitato circa cento piazze italiane nello stesso giorno per inviare al Parlamento, dove si discute l’approvazione del DDL Cirinnà, un messaggio importante: è l’ora dei diritti!

In Piazza della Scala a Milano eravamo tantissimi per un’indimenticabile giornata di mobilitazione.

 

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Video della manifestazione a cura di Bugatty Channel

Un film da vedere e amare: “Freeheld. Amore, giustizia, uguaglianza”

Sul “Freeheld. Amore, giustizia, uguaglianza” con Julianne Moore e Ellen Page, posso solo dire, a costo di risultare naif, che ho amato questo film, e parecchio anche.
Credo che non si dovrebbe cadere nella tentazione di un facile snobismo un pochino, consentitemelo, salottiero, con critiche un po’ fini a se stesse su interpretazione e doppiaggio.
Il film è estremamente coinvolgente e toccante. E così dev’essere, vista la tragicità della vicenda narrata. In alcune sequenze è davvero forte, un vero pugno allo stomaco. Per questo risulta molto potente da un punto di vista politico, perchè in grado di perorare la causa del matrimonio egualitario puntando sui sentimenti degli spettatori e colpendoli al cuore.
E’ così che le cose cambiano, puntando al cuore delle persone, con messaggi semplici, diretti e comprensibili a tutt*.
E poi, permettetemi, mille volte meglio di molti film su amori lesbici usciti anche recentemente (penso in particolare a “Io e Lei” o a “I ragazzi stanno bene”) con l’immancabile sbandata di una delle protagoniste per il maschio di turno volta a rassicurare l’eterosessismo dello spettatore medio mentre sgranocchia pop corn.
Aggiungo infine che la visione di questo film può fare molto bene a tante giovanissime lesbiche che, con mio sconcerto, dichiarano, vittime della loro stessa omofobia interiorizzata: “Mi spiace, ma io non sono per il matrimonio egualitario”. Un pugno allo stomaco in questi casi è salvifico!
Andate a vederlo, ne vale la pena.

Conchita Wurst e le ricadute mediatiche della libera espressione di genere

Articolo pubblicato sulla rivista di cultura LGBT “Il Simposio”

Conchita Wurst, l’artista che ha vinto l’ultima edizione dell’Eurovision Song Contest dedicando la sua vittoria “a tutti coloro che credono in un futuro di pace e libertà”, ha portato il suo inno alla libera espressione di sé a più di 195 milioni di spettatori in 41 Paesi, gridando: «We are unity and we are unstoppable!» («Siamo un’unità e siamo inarrestabili!»).

L’arrivo di Conchita all’ultimo festival di Sanremo è stato anticipato da una vera e propria campagna contro la sua partecipazione ad opera della galassia dell’integralismo cattolico (con tanto di petizione sul sito “Change.org”, “per chiedere l’annullamento della partecipazione di Conchita Wurst a Sanremo. Contro l’ideologia del gender e contro l’omosessualismo militante, e per la difesa del diritto naturale”).

Sul palco del teatro Ariston, la cantante ha portato il brano “Heroes”, per poi sostenere un’intervista con Carlo Conti, che si è rivolto a lei chiamandola con il suo nome anagrafico, “Tom”, scelta che ha scatenato moltissime critiche da parte della comunità LGBT italiana. All’immancabile e provocatoria domanda di Conti sulla sua barba e su quanto l’abbia aiutata nella vittoria all’Eurovision, Conchita ha risposto con invidiabile autocontrollo: «Sì, senza non sarei stata la stessa».

La domanda di Conti risultava prevedibile perché la barba costituisce l’elemento estetico che rende Conchita “disturbante” per un pubblico mediamente genderista e binario. Il “genderismo” è infatti la credenza  che il genere sia binario, e che esisterebbero pertanto due soli generi, maschile e femminile; questa visione si contrappone nettamente all’idea di “gender variance” o variabilità di genere, che contempla invece sfumature di genere potenzialmente infinite.

La nota cantante austriaca sfugge al dogma binario dei generi definendosi, e in questo modo autodeterminandosi, «gender neutral», ovvero neutrale rispetto alla definizione di uomo e donna, pur preferendo pronomi e aggettivi declinati al femminile, e facendosi portatrice di un’immagine che prevede la compresenza di caratteristiche femminili e maschili. Questo ha scatenato un coro di critiche da parte dei lettori di quotidiani online in modo politicamente trasversale: la barba di Conchita non va giù a molti nemmeno a sinistra che, in barba (è il caso di dirlo!) al “politically correct”, si sono scatenati in commenti di (virtuale) disapprovazione. Persino nelle community  dedicate alle persone trasngender troviamo critiche feroci: molte persone trans ritengono Conchita dannosa per l’immagine della “categoria” nell’immaginario collettivo. “Le persone fanno già fatica a capire noi… cosa penseranno vedendo lei?”, scrive un’iscritta ad un gruppo Facebook dedicato ai percorsi di adeguamento di genere.

L’imprinting genderista, che tutti abbiamo ricevuto, ci porta a provare un fastidio istintivo verso coloro che si discostano dalle aspettative di genere nella nostra società. I “trasgressori di genere” non piacciono e probabilmente continueranno a non piacere per molto tempo.

Ma da un imprinting culturale fortunatamente ci si può liberare, lavorandoci.

Familiarizzare con l’immagine di Conchita Wurst e, nella vita reale, con tutte quelle persone portatrici di una sfumatura di genere non binaria può infatti rappresentare un ottimo antidoto a quell’intolleranza che tutt* noi, “di default”, abbiamo introiettato.

Visitando il sito ufficiale dell’artista apprendiamo che Conchita nasce come «una dichiarazione di tolleranza, perché non si tratta di apparire, ma di essere un essere umano. Ognuno dovrebbe vivere la vita come meglio crede, a patto che nessuno si faccia male o ci siano limitazioni nel proprio modo di vivere».

Un principio che dovrebbe essere universalemente riconosciuto, condiviso e applicato, anche in relazione all’espressione di genere.

Matrimonio egualitario, senza se e senza ma!

Come popolo LGBT non possiamo accettare una legge sulle unioni civili che escluda la possibilità di adottare.
Capisco la fame di diritti ma, avallando una legge del genere, introdurremmo nel nostro ordinamento l’idea che noi siamo gente dalla quale i bambini andrebbero protetti, persone malate, deviate, moralmente inferiori.
Un vero e proprio apartheid, e non c’è “politica dei piccoli passi” che tenga!
Lasciamo ai partiti quesra vergognosa mediazione sulla nostra pelle, che la Storia giudicherà.
Noi attivisti facciamo invece il nostro lavoro, rivendicando il matrimonio egualitario e l’adozione, senza se e senza ma.
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